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Contro il razzismo su Facebook “San Ferdinando di Puglia Open Gov” indica la via

Da nonviolento sono abituato ad analizzare gli eventi in termini di causa ed effetto.

Il barbaro linciaggio subìto dai nostri fratelli immigrati alcuni giorni fa è un effetto generato da una molteplicità di cause, che hanno gettato benzina sulle braci del razzismo degli italiani: programmi televisivi infarciti di paure e diffidenza verso gli stranieri, giornali quotidiani - le cui pagine istigano all’odio razziale attraverso un’opera di sistematica disinformazione - e, non per ultimo, internet e i social network, che offrono un palcoscenico alla plebaglia razzista e fascista, fino a ieri rintanata nei circoli ricreativi e nei bar.

A me, in questa sede, interessa parlare di Facebook, il social network ideato da Mark Zuckerberg, che con i suoi due miliardi di utenti è il più seguìto sul pianeta. Quale ruolo ha avuto Facebook, e in particolare i gruppi di discussione presenti sul territorio di San Ferdinando di Puglia, nel generare l’isteria collettiva che ha portato alla recente esplosione di violenza diretta verso degli inermi e innocenti immigrati?

Io ritengo che il loro contributo sia stato rilevante, perché i gruppi di discussione hanno distillato le paure indotte dai mass media in una dimensione locale. Alle volte gruppi Facebook frequentati in prevalenza da ultra-tradizionalisti possono irrigare i semi della paura e dell’ignoranza e diventare una fucina di razzismo. Ed è esattamente quello che è avvenuto a San Ferdinando di Puglia.

Ora, la sfida educativa che abbiamo davanti è quella di non creare nuovi razzisti, perché le possibilità che un razzista capisca di esserlo e cambi pensiero e azioni sono infinitesimali. In merito, il Gruppo Facebook “San Ferdinando di Puglia Open Gov” indica la via, perché in questo gruppo la mentalità razzista non ha mai avuto diritto di cittadinanza. Post o commenti di contenuto razzista sono stati immediatamente cancellati, i loro autori sono stati ammoniti e in caso di recidiva sono stati espulsi dal gruppo.

Se ciò fosse avvenuto anche in altri gruppi Facebook, forse non saremmo arrivati a questo grave episodio di violenza diretta.

Il razzismo e i suoi effetti non si combattono con le marce riparatorie, dopo i fatti, ma agendo nel quotidiano sulle cause, con un progetto educativo di lunga durata. Chi ha partecipato alla marcia “per rompere le catene del razzismo e della xenofobia” ha compreso che ora bisogna rimboccarsi le maniche nel mondo offline, come in quello online?

Per cominciare, si smetta di navigare sul web come uomini e donne “stealth“, invisibili, e surfare tra blog e social network per ficcanasare, senza lasciare la benché minima traccia del proprio passaggio.

Dico questo perché nella nostra comunità cittadina, recentemente offesa dalla violenza razzista estrema, vi sono galantuomini e gentildonne che non hanno mai offerto un minimo contributo di idee: non un link, non un commento, non un cenno di approvazione o disapprovazione, nulla. Non c'è idea, campagna o causa sociale, giusta o sbagliata, che li appassioni e li coinvolga, costringendoli a togliere dal buco della serratura il loro grosso occhio da guardone. Persone così, se su internet potesse piovere, passerebbero tra una goccia e l’altra senza bagnarsi. Con l’oscuro, mediocre, grigio, impalpabile, sterile e biasimevole “guardonismo” dell’era digitale non si combatte il razzismo; al contrario con le proprie omissioni si consente all’odio di divampare.

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