Uomoplanetario

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La pace tra le religioni

L’uomo planetario è l’uomo postcristiano, nel senso che non si adattano a lui determinazioni che lo separino dalla comune degli uomini. La qualifica di cristiano mi pesa. Mi dà soddisfazione sapere che i primi credenti in Cristo la ignoravano.

Il termine fu inventato ad Antiochia, nel 43, dai burocrati e dai militari romani che, per ragioni di ordine pubblico, avevano bisogno di identificare in qualche modo certe comunità poco conformi alle regole della società. Dunque, un’invenzione del potere, che distingue per meglio dominare. […]

“Non solo che un uomo”: ecco un'espressione neotestamentaria in cui la mia fede meglio si esprime. E’ vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti, ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello all’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato.

Egli disse: quando sarò sollevato da terra attirerò tutti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, entrò nell'angoscia ed emise il suo spirito, sfogliato di tutte le determinazioni. Non era più, allora, né di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era universale, come universale la qualità che in quel annullarsi divampò: l'amore per gli altri fino all'annientamento di sé. E’ in questo annientamento per amore la definizione di Gesù, uomo planetario.  […] La sua universalità va riposta qui, in questo suo libero insediarsi, per amore degli uomini, nel cuore della totale negatività.

Tra me e lui ci sono sette pareti d’ideologia, perché io ho imparato il suo nome con la spada in mano, come voleva la pedagogia dell'intransigenza. Le sette pareti stanno cadendo una dopo l’altra, e dopo ogni caduta mi sembra di capire meglio che significhi la sua sequela. […]

Quando sento ripetere il messaggio che Gesù è universale perché egli è il Logos nel quale, dal quale e per il quale tutte le cose sono state create, una specie di immenso sbadiglio mi sale dal profondo, come dinanzi a una verità resa vacua dall'abuso. Ma quando rifletto in silenzio sui gesti concreti con cui egli, mettendosi contro gli uomini della religione del potere, andò incontro i poveri, ai miti, agli afflitti, ai perseguitati, è come se scorgessi nel buio un sentiero di luce. […]

E’ questa la mia professione di fede, sotto le forme della speranza. Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura non mi cerchi. Io non sono che un uomo”.

(Ernesto Balducci, L’uomo planetario, Giunti, Milano, 2005, pp. 174-176).

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