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L’approccio creativo e resiliente di mio figlio al lockdown e alla DAD

Non condivido l’allarme rosso lanciato da alcuni pedagogisti e da genitori preoccupati per il benessere dei propri figli, chiusi in casa per l’emergenza Covid-19.

Quanti sono immersi in una pandemia mortale hanno il dovere di usare l’intelligenza al meglio e vivere con resilienza questo ferale momento storico.

Premesso che il confinamento dentro le quattro mura domestiche sia pesante per tutti, credo sia utile condividere l’approccio creativo e resiliente di mio figlio al lockdown e alla didattica a distanza.

Mio figlio Francesco ha 15 anni, un passato di otto anni da homeschooler che lo ha educato ad un approccio attivo e creativo alla conoscenza. Attualmente, frequenta il secondo Liceo Scientifico-Linguistico. Questa, in sintesi, è la sua giornata tipo in zona rossa.

Sveglia. Colazione.

Inizio lezioni in didattica a distanza. La sua scrivania non è affollata di testi scolastici, perché tutti i suoi libri sono contenuti in formato digitale su un iPad.

Dopo le lezioni, segue il confronto quotidiano in chat con i compagni di scuola sui compiti da fare nel pomeriggio, ma anche la miriade di messaggi allegri e leggeri, tipici degli adolescenti.

Attività fisica in casa.

Prima del pranzo, lavoro ad un complesso progetto video in 3D come volontario di un’associazione ambientalista.

Dopo pranzo, Francesco tiene come docente una lezione online di italiano (in lingua inglese) per una decina di studenti collegati in videoconferenza da ogni parte del mondo che vogliono imparare l’italiano attraverso il peer tutoring.

La mattina partecipa alle lezioni scolastiche nella veste di studente e il pomeriggio tiene un corso di lingua italiana come docente.

È la “contaminazione” interculturale ad aver generato questa straordinaria possibilità. Una ricchezza condivisa dal suo amico coetaneo russo — con il quale è in contatto quotidiano online — nella cui scuola i ragazzi vivono spesso esperienze didattiche in cui i ruoli vengono ribaltati, così che il docente siede tra i banchi e l’alunno fa lezione.

Attività fisica.

Segue lo studio delle materie per il giorno successivo.

Lettura di un libro non scolastico.

Uscita per una camminata a passo svelto nei pressi di casa.

Al ritorno, videoconferenza in lingua inglese con il suo amico russo, con il quale in questi giorni di lockdown sta creando un sito web.

Cena.

Chat informale su questioni di grafica 3D con uno dei creatori del film “Ad Astra” con Brad Pitt e della serie Apple TV+ “For All Mankind”.

A letto.

Nella sua giornata, in zona rossa, non c’è spazio per depressione, abulia, ansia o stress, rabbia o autolesionismo a causa della DAD e del lockdown.

Evitando il rischio di incorrere in facili generalizzazioni, credo, tuttavia, che i problemi dei figli che stanno vivendo male il lockdown e la DAD siano da ricercarsi in famiglie con genitori deleganti, che per anni hanno messo ogni cura per sbolognare i figli, sballottandoli come pacchi tra scuola, doposcuola, parrocchia, palestra, associazione sportiva, danza, corsi vari e gruppo dei pari; tutto pur di non averli tra i piedi.

Il risultato è stato un precoce e innaturale orientamento ai coetanei da parte dei figli, privati troppo presto di autorevoli e rassicuranti figure di riferimento adulte.

Il resto va da sé. Se un adolescente è privato di colpo del suo gruppo dei pari e della sua routine di attività, per le restrizioni imposte dalla pandemia, e vive male in casa con i suoi genitori assenti, può accusare il colpo e manifestare sintomi più o meno preoccupanti.

È una questione di resilienza, cioè la capacità di affrontare le difficoltà legate alla didattica a distanza e al lockdown e superarle di slancio con consapevolezza, forza di volontà, creatività, determinazione e un pizzico di ottimismo.

La capacità di resilienza individuale e familiare richiede tempo. Quindi, andava costruita molto prima dell’inizio della pandemia. La semplice reazione agli eventi avversi evidentemente non può bastare.

La pandemia ha messo a nudo la fragilità delle dinamiche relazionali e le debolezze strutturali di molte famiglie italiane.

I genitori che, molti anni prima dello scoppio della pandemia, hanno dedicato ai propri figli tempo di qualità, li hanno educati alla creatività e non alla fruizione passiva della TV, della rete e degli strumenti digitali, credo che vivano questo momento difficile con più forza interiore.

Al contrario, i genitori che hanno impostato una vita familiare di ben altro genere e si trovano a dover denunciare la crisi dei loro figli in lockdown, dovrebbero guardare indietro, con onestà, alle occasioni perdute per costruire insieme ai figli la resilienza familiare, utile nei momenti di crisi.

Chi descrive i figli tristi e depressi abulici, ansiosi e stressati, arrabbiati e autolesionisti a causa della DAD sta dichiarando il proprio fallimento come genitore.

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