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L’epidemia di suicidi tra i Marines degli Stati Uniti e la violenza di Stato

La notizia è di quelle che stenti a credere, per cui ho effettuato subito una triangolazione, chiedendo conferma a tre diverse fonti affidabili. Non è una bufala, è tutto confermato da Time, Washington Post e CNN.

Negli Stati Uniti ogni 65 minuti un soldato, recluta o un veterano, del corpo dei Marines si suicida. 22 soldati suicidi al giorno, 8.030 all’anno.

Sia pur parziale – perché la statistica è riferita solo a 21 stati americani su 50, che rappresentano circa il 40% della popolazione americana – è comunque un numero impressionante. La proiezione di questi dati a livello federale ci dice che il numero reale dei suicidi è molto più elevato. Mancano all’appello i dati relativi agli altri 29 stati, dove risiede il 60% della popolazione americana, tra cui il Texas, dove si verifica un elevato numero di suicidi tra i militari, e tutti quei casi di suicidi tra i Marines che non vengono classificati come tali sui certificati di morte.

Ogni singola tragedia umana viene archiviata sbrigativamente dai mass media e dall’opinione pubblica come depressione, malattia mentale o stress post-traumatico. Pochi vedranno in questi fallimenti umani il sintomo della violenza strutturale dello stato che rende l’uomo schiavo del sistema militare per farne, come scrisse Tolstoj nella sua opera “Il Regno di Dio è in voi”,

“Utensili e non più un uomini… strumenti di uccisione, omicidi di professione, macellai di carne umana”.

Il fine ultimo dell’addestramemento militare è la lobotomizzazione dell’essere umano, per trasformare un individuo qualunque, provvisto di coscienza, in un killer sanguinario e senza scrupoli, totalmente assuefatto alla violenza diretta e strutturale, come ha abilmente narrato, in chiave iperrealista, il regista Stanley Kubrick nel suo film di denuncia “Full Metal Jacket” (1987). Nel film Kubrick descrive la paranoia e l’alienazione delle coscienze operata dall’addestramento militare “per falsi duri e pazzi furiosi” nella caserma dei Marines di Parris Island in South Carolina, che porterà una recluta alla follia, all’assassinio del sergente “torturatore” e al suicidio.

A nulla serve l’obliterazione delle coscienze operata dall’addestramento militare. Prima o poi i fantasmi della guerra, il ricordo delle atrocità causate della cieca violenza, l’odore del sangue versato, chiedono il conto al quel residuo di umanità ancora presente in quei veterani. A volte non basta neanche buttarsi anima e corpo nel volontariato umanitario per cercare di sanare le ferite sanguinanti dell’anima.

Il Commander in Chief dell’esercito americano, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in merito ai suicidi dei Marines, si è limitato a dire che è necessaria una politica di prevenzione per “porre fine a questa epidemia di suicidi tra i nostri soldati e veterani”. Una frase light, che nasconde una volontà politica debole e inconcludente. L’unica prevenzione possibile per debellare l’epidemia dei suicidi tra i soldati e per scongiurare le guerre del futuro consiste nel sovvertire l’ordine delle cose, convertendo il sistema militare offensivo in un nuovo sistema difensivo, atto a proteggere i confini nazionali, che utilizzi le strategie della Difesa Popolare Nonviolenta. Una prospettiva tanto eretica quanto rivoluzionaria. E se poi l’Is ci attacca? Basta non vendergli le armi che noi stessi produciamo. Una soluzione semplice che in molti si ostinano a non vedere.

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