Ritualità trapassate

Ritualità trapassate

In una parrocchia cattolica nella domenica di Avvento dedicata alla gioia.

Il vecchio viceparroco nella sua casula rosa, il colore liturgico della gioia.

Il parroco è più vecchio. Il sagrestano, ancor più vecchio.

Un organista suona e canta in solitudine nenie soporifere.

In assemblea quattro gatti, passivi e muti,

e tre pellicce di animali morti

sulle spalle di donne già morte.

Teste calve gravate da fredde pietre tombali.

I guanti rossi di pelle, da diavolessa,

della signora di fronte.

La liturgia vivacchia senza palpiti e senza gioia

lungo interminabili minuti annoiati,

al ritmo di un rituale rassicurante

per ossa inaridite dai fantasmi della religione.

L'omelia fluisce stanca lungo un canovaccio sempre uguale, con tono di mestizia.

Mezz'ora di frasi ritrite e biascicate

dentro una minestra riscaldata e sciapida.

L'assemblea sonnolenta è destata dall'ingresso

di una figura astenica di nobildonna in disfacimento fisico,

avvolta da una pelliccia di visone d'ordinanza.

Le labbra al silicone e gli zigomi al botulino.

Sfila lungo la navata laterale

come su di una passerella di moda.

La donna si ferma all'altezza del presbiterio

e, dopo una rapida serie di scongiuri tipicamente cattolici,

sfila nuovamente per poi uscire.

Il sogno evangelico di Gesù Cristo è lo zerbino calpestato all'ingresso.

L'età media dell'assemblea è di 65 anni.

Il collante: tradizione, superstizione,

sensi di colpa e paura della morte.

Un solo bambino presente.

Mio figlio. Perplesso e annoiato.

Dopo l'ennesimo canto tedioso

segue il congedo liberatorio del celebrante.

La Messa è finita. Andate all'Iper.

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