Parliamo in modo serio del cancro della pedofilia nella Chiesa cattolica
Oggi è sabato Santo, un giorno dedicato alla riflessione. E allora, se dobbiamo riflettere, parliamo del cancro della pedofilia che alligna nella gerarchia cattolica e che ammorba l’intera Chiesa. Molti, troppi, anche tra i laici, volgono la testa dall’altra parte per non vedere. Non vedono, non sentono, non parlano. E quindi non si ribellano!
Per i laici che credono ancora nella favoletta della chiesa pura e santa sarebbe troppo traumatico prendere coscienza della gravità, della profondità della corruzione e della lunga catena di crimini alimentata dalla regola del sacerdozio maschile e del celibato in vigore nella Chiesa cattolica.
La recente notizia della condanna di don Mauro Inzoli, soprannominato don “Mercedes”, a 4 anni e 7 mesi per pedofilia rappresenta solo l’ultimo episodio dello stillicidio di notizie e scandali dei preti pedofili.
I cattolici critici peccherebbero di eccessivo ottimismo se chiedessero alla Chiesa cattolica di avviare una riforma in tempi celeri sotto la spinta della virtù. Ci si accontenti, allora, di una riforma del sacerdozio mossa solo dalla mera convenienza economica. Oggi, sempre più fedeli si sentono traditi dalla Chiesa, i luoghi di culto si svuotano e il flusso delle offerte in denaro comincia a diminuire.
Nel libro “Tradimento. Il caso Spotlight” (editrice PIEMME), che illustra l’inchiesta, premiata con il Pulitzer, del Boston Globe sui sacerdoti pedofili si legge che “a dispetto delle iniziative di Papa Francesco, nel 2014 il Vaticano è stato oggetto di aspre critiche da parte delle Nazioni Unite per la lentezza nella risoluzione del problema. Il rapporto del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, pubblicato in febbraio, criticava duramente la Chiesa per non aver implementato l’impegno internazionale sottoscritto a tutela dell’infanzia e affermava che le sue prassi continuano a permettere ai preti corrotti di molestare i bambini”.
E quali sono queste prassi? Rientrano certamente nelle prassi le strategie di copertura e occultamento dei crimini commessi nel mondo dai sacerdoti pedofili. Ma, arrivati a questo punto, è necessario non limitarsi a chiedere scusa, a denunciare e punire gli abusi sessuali commessi, ma intervenire con una riforma radicale della catena “produttiva” dei preti pedofili. Ormai, la moderna psicologia ha accertato che i preti pedofili sono incorreggibili. Quindi, è urgente che la Chiesa intervenga a riformare le “fabbriche dei preti”, i seminari. E’ proprio nelle fabbriche dell’ipocrisia chiamate seminari che si riproducono le “storture strutturali e culturali che sono alla base della crisi attuale”.
Il fulcro della riforma è l’apertura all’ordinazione sacerdotale di uomini sposati e un ruolo più attivo dei laici nella gestione delle parrocchie.
Uno dei massimi teologi viventi, Hans Küng, ha scritto parole molto chiare in merito. Perché la Chiesa continua, “contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsi a rinunciare alla loro missione.
L’obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all’XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo. […]
Un riesame di questa norma è da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. [...]
È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l’esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l’obbligo del celibato sacerdotale? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l’obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l’inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione. In nome della verità, la correlazione tra l’obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione. Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l’ordinazione al sacerdozio”. [...]
“Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, la Chiesa ha occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C’è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all’interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato”.
Concludo invitando il Papa e l’intera gerarchia cattolica a rileggere la Bibbia e in particolare la frase di San Paolo nella prima lettera a Timoteo (3,2): “bisogna anche che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna”. Ordinate al sacerdozio dei “viri probati”, onesti ed equilibrati padri di famiglia, e il problema della pedofilia nella chiesa diverrà solo un brutto ricordo.