Un fallimento di genitore
Una donna esce di casa e getta per strada un secchio d'acqua sporca con detersivo. Nella città in cui vivo le casalinghe più troglodite fanno ancora così.
Poi guarda dentro casa e minaccia il figlio - la cui unica colpa è di essere un bambino e di comportarsi come tale - con una frase che avrà ripetuto centinaia di volte: "ti do le botte!".
Quanto è gratificante ottenere l'immediata obbedienza del figlio sotto la minaccia della violenza fisica. Le botte sono la via più semplice, diretta, perfida e pigra per raggiungere il risultato della sottomissione del bambino alle regole, spesso incomprensibili, del mondo degli adulti.
Se il dialogo con i figli e il confronto con le loro esigenze richiede al genitore tempo, pazienza e disponibilità all'accomodamento, il metodo spiccio delle botte promette risultati sicuri e immediati. Il massimo effetto col minimo sforzo. Questo è ciò che si crede comunemente. La propaganda messa in campo dalla pedagogia nera ha portato molti genitori a credere erroneamente che i figli cresciuti sotto il regime delle percosse divengano immancabilmente adulti sani ed equilibrati. La realtà invece è molto diversa.
I maltrattamenti provocano traumi profondi nei bambini e non sono quasi mai senza conseguenze per i genitori.
Un bambino picchiato, anche soltanto per una volta, perde la fiducia nei genitori, tradita dalle percosse, e sarà per lui molto difficile intessere con loro un rapporto sereno. Quel figlio picchiato proverà per sempre un risentimento più o meno forte nei confronti dei genitori. Un sentimento negativo che per tutta la sua vita cercherà di sopprimere, mettendosi a rischio di ammalarsi seriamente. Negherà la violenza dei genitori e cercherà di coprire i maltrattamenti subiti da bambino con le giustificazioni tipiche della pedagogia nera e della morale tradizionale. Lo hanno fatto per il mio bene, animati dalle migliori intenzioni. Sono stato picchiato perché me lo meritavo. E poi sono venuto bene.
Quel bambino violato diverrà un adulto nevrotico, immaturo, dalla personalità infantile, dipendente dagli altri, alla continua ricerca dell'affetto che gli fu negato quando era bambino. Sarà anche sottomesso e dipendente dalle autorità, la cui sovranità non metterà mai in discussione.
Chi avrà il coraggio, partendo dal proprio vissuto di figlio maltrattato, di rompere la catena della violenza? Le vie della violenza e della guerra passano dalla negazione della cattiveria subita, dalla sua giustificazione e riproduzione. Al contrario, la via della pace ha inizio dalla consapevolezza del male subito, dei danni che esso ha provocato, e dalla ferma volontà di non ripeterlo.