L’impermanenza dell’errore ovvero l'elogio dell'inesattezza

Lavagna montessoriana - Foto: Mariella Dipaola

Basta un semplice vassoio con i bordi o una teglia da forno, della farina di mais e il gioco è pronto. Disegnare, scrivere e cancellare.

Oltre che divertente per i bambini, questo semplice gioco a costo zero educa all’autocorrezione, ma soprattutto all’idea ottimistica e finemente pedagogica/ filosofica che tutto è impermanente, anche l’errore. Che noi non siamo i nostri sbagli e che abbiamo sempre un’altra possibilità, poiché l’errore non coincide con l’”errante". Per un bambino, in particolare, vedere il proprio errore svanire al suo tocco di mano sarà un prezioso aiuto per autoinfondersi una poderosa dose di fiducia. Imparerà che per raggiungere un obiettivo non dovrà temere l’errore, perché in fondo le grandi scoperte e i progressi dell’umanità avvengono per prove, “errori" e correzioni del tiro, attraverso deviazioni dai percorsi ordinari. Imparerà che l’errore non è "per sempre" e che esso rappresenta, al contrario, il motore del cambiamento. Insomma, l'errore è un utile alleato.

I bambini terrorizzati da adulti che stigmatizzano oltre misura gli errori ben presto perderanno la propensione a sperimentare e ad osare idee eretiche e percorsi innovativi. Perderanno la loro innata curiosità per le cose della vita e si persuaderanno, attraverso un lento ma inesorabile condizionamento, che i "perché" hanno un'unica risposta, quella che stabilisce l'insegnante o il libro di testo o qualunque altra autorità. Secondo Maria Montessori l'errore fa comunità, unisce, perché solo riconoscendosi reciprocamente imperfetti come esseri umani potremo stare insieme pacificamente, forti di una prospettiva  di perfettibilità/cambiamento insita in qualunque relazione umana nonviolenta. L'errore, dunque, crea ponti, mentre la perfezione erige steccati. 

L'autocorrezione rende le persone attive, sicure di sé, libere, mentre la correzione operata dall'esterno, al contrario, impigrisce, rende insicuri dei propri mezzi e crea le precondizioni per lo sviluppo di personalità sottomesse. 

Come fa notare J. Hunt, psicologa infantile e dell’età evolutiva, più o meno in terza elementare gli individui scolarizzati smettono di porre domande e di dare risposte per timore di essere giudicati negativamente. Ma una scuola fondata sulle "risposte esatte" che determina l'inibizione di domande che scaturiscano da un impulso interiore a cercare ha fallito il suo scopo. Come afferma Rubem Alves, "non esiste niente di più pernicioso per il pensiero che l'insegnamento delle risposte esatte. Le risposte ci permettono di camminare su terra sicura. Ma solo le domande ci permettono di entrare nel mare sconosciuto. Per questo esistono le scuole: non per insegnare le risposte ma per insegnare le domande”.

Quando si è ancora piccoli con metodo “scientifico” risolviamo i problemi per tentativi, per prove ed errori. Quando cresciamo perdiamo questa capacità di approccio ai problemi. La scuola ci inculca l’idea che lo sbaglio abbia un valore esclusivamente negativo. 

In realtà, tutte le idee nuove e originali nascono seguendo una strada assolutamente inesplorata. Sono i sentieri non battuti che danno nuova linfa al mondo. Ma la scuola attribuendo all’errore una valenza esclusivamente negativa tarpa negli individui ogni naturale istinto creativo. 

Illuminanti a riguardo le considerazioni di Riccardo Luna contenute nel suo libro dal titolo “Cambiamo tutto! la rivoluzione degli innovatori”. Nel testo l'autore invita ad adottare "la teoria del fallimento quale motore indispensabile dell’innovazione” tentando una rivoluzione copernicana del modo di pensare dell’italiano medio, il quale, da sempre, dimostra in generale scarsa tolleranza nei confronti dell’errore. Bisognerebbe imparare da Thomas Edison, inventore della lampadina ad incandescenza: “Non ho sbagliato 700 volte, anzi per la verità non ho sbagliato mai. Ho dimostrato per 700 volte quale non fosse la strada giusta”.

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